Da Palermo a Petralia per un vaccino, il contrappasso che paga la città

Michele Ferraro

Cronaca - Il caso

Da Palermo a Petralia per un vaccino, il contrappasso che paga la città
Costringere un soggetto fragile a fare 4 ore di macchina per un vaccino è incivile. Ma è incivile anche quello che accade, da anni ed ogni giorno, ai siciliani "paesani"

12 Febbraio 2021 - 18:41

“Perché devo portare i miei genitori, ultraottantenni, da Palermo a Petralia per essere vaccinati contro il Covid?” Inizia così l’articolo pubblicato oggi dal quotidiano on line Palermotoday che offre spazio alle tante segnalazioni arrivate dai cittadini palermitani per lamentarsi di una circostanza oggettivamente scomoda: dover percorrere più di 100 chilometri per consentire ai propri genitori ultraottantenni di poter fare la prima dose di vaccino.

“Questa mattina – si legge nell’articolo pubblicato dal noto giornale palermitano – ho fatto la richiesta per il vaccino per i miei genitori. Mio padre ha 91 anni, mia madre quasi 81. Premetto che abitano a Palermo, nel quartiere di Pallavicino. Mi hanno prenotato in giorni differenti, per il mese di aprile, a Petralia Sottana”. Nella stessa situazione si trova un altro utente: “Volevo segnalare che mia madre, che ha 84 anni, deve recarsi a Petralia per il vaccino. E’ normale?”. Al coro di proteste si aggiunge anche un altro uomo che era entrato nel portale per prenotare un appuntamento ai genitori di sua moglie: “Ho provato a prenotare per i miei suoceri, di 87 e 83 anni. E’ possibile mai che solo 3 giorni dopo da quando è stato attivato il servizio, gli unici posti disponibili siano a Petralia Sottana? E’ normale che due anziani, a quell’età, debbano recarsi in un comune delle Madonie per vaccinarsi?”.

Secondo quanto riportato da Palermotoday il disservizio nasce dalla distribuzione dei vaccini, gestita a livello nazionale: le dosi che vengono assegnate ad ogni “slot” (ovvero ad ogni struttura accreditata). Dunque a stabilire il numero delle dosi da distribuire sarebbe direttamente la struttura commissariale ed è più facile che finiscano più rapidamente le dosi inviate a Palermo piuttosto che quelle riservate a Petralia.
IL COMMENTO DEL DIRETTORE
Mentre a Palermo ci si lamentava, a molti sulle Madonie non è sfuggito come questo disservizio, legato ad una carenza del numero di vaccini rispetto al fabbisogno riscontrato in città, abbia tutto il sapore di un contrappasso nel quale sono incappati gli incolpevoli cittadini del capoluogo. Siciliani, tali e quali sono gli abitanti delle nostre montagne, ma non abituati a dover intraprendere lunghi viaggi per un trauma, un’appendicite, una trombosi o anche una semplice visita diagnostica. Per non parlare di un parto. Questi sono “privilegi” da anni riservati ai paesani, ancora testardamente abbarbicati sulle terre alte di Sicilia, nonostante i ripetuti inviti a togliere il disturbo. Inviti ovviamente silenziosi. Camuffati sotto mille maschere: strade dissestate, uffici e servizi pubblici smantellati, servizi sanitari progressivamente depotenziati. Dietro tutto questo non c’è distrazione. C’è un disegno, chiaro. Politico. Che viene da lontano, da quel piano di rientro della spesa sanitaria, approvato per la prima volta nel 2007 che, come spesso accade in Italia, aveva nobili intenti (tagliare gli sprechi di un sistema che negli anni precedenti aveva creato una voragine nei conti pubblici delle Regioni e dello Stato) ma che si è progressivamente trasformato in qualcosa di diverso e malefico: creare, di fronte al diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione, cittadini di serie A e cittadini di serie B. Ogni Governo che si avvicenda si batte il petto, ammette il problema e promette soluzioni, salvo poi fregarsene altissimamente. Perchè? Presto detto. E’ questione di voti. Nella miope visione politica che accomuna trasversalmente gli inquilini che negli ultimi decenni si sono succeduti in quel fazzoletto di terra che divide Palazzo dei Normanni da Palazzo d’Orleans, il numero di consensi racimolabili in tutte le alte Madonie è inferiore a quello del più piccolo quartiere di città. Troppo poco per spendere soldi “ammatula”. Così nel distretto sanitario 33 di Petralia Sottana da quasi 20 anni si vive di promesse, di sorrisi e pacche sulle spalle elargite a sindaci, assessori, consiglieri comunali creduloni che giocano al gioco del silenzio. Ogni tanto il cittadino si ricorda di essere anche popolo, ha un sussulto, si organizza, protesta. La politica locale rincorre, media, si fa promettere e promette. Tutto finisce a tarallucci e vino e l’indomani un altro reparto chiude, un’altra strada crolla. Poi accade qualcosa, un corto circuito del sistema. Un imprevisto che capovolge la situazione e quelle terre così lontane tornano ad essere utili ai bisogni (degli altri) come nel caso di un vaccino, disponibile – per uno scherzo demografico – qui e non altrove. Non auguriamo certo ai siciliani “cittadini” di dover vivere ancora a lungo questo disagio e speriamo vivamente che possa essere risolto nel più breve tempo possibile, perché costringere un soggetto fragile a fare 4 ore di macchina per un vaccino è incivile. Ma è incivile anche quello che accade, da anni ed ogni giorno, ai siciliani “paesani”. Il nostro ospedale, l’ospedale Madonna dell’Alto di Petralia Sottana è da mesi un centro Covid. Così anche i pochissimi servizi che continuava a garantire alla popolazione madonita sono in larga misura ridotti, se non del tutto sospesi. Pare che ci sia un patto siglato fra i sindaci del distretto, l’Asp di Palermo e la Regione, per compensare il territorio madonita dell’ennesimo sacrificio fatto sull’altare del buon senso e della partecipazione attiva contro la pandemia. Da tempo chiediamo che questo patto venga reso pubblico per vigilare su di esso perché, nessuno si senta offeso, dopo tutti questi anni non ci fidiamo più. Ai nostri lettori facciamo una promessa: se questo accordo c’è voi lo leggerete, presto. Se non c’è nulla di scritto, se c’è stata solo una stretta di mano a sancire la chiusura al pubblico dell’Ospedale di Petralia allora, sarà il caso di ricordarsi ancora una volta di essere popolo e come popolo protestare, questa volta senza tarallucci né vino.

 

 

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