Il permesso premio concesso e violato dal “sindaco boss” di Cerda Giuseppe Biondolillo (leggi qui), fa emergere dal passato una delle storie più crudeli della mafia madonita. E’ il 29 giugno del 1991, due fratelli di Cerda, Giuseppe e Salvatore Sceusa, entrambi imprenditori edili, spariscono nel nulla.
La famiglia lancia l’allarme, così cominciano le ricerche della Polizia che nel giro di poche ore trova, posteggiata a Buonfornello, l’auto di Giuseppe. Per il ritrovamento della seconda auto, quella di Salvatore, bisognerà attendere il 15 luglio, quando l’Alfa 164 viene ritrovata a Palermo, in Piazza delle Mandorle, quartiere Tommaso Natale. Era parcheggiata lì da due settimane.
Secondo la dettagliata ricostruzione degli inquirenti i due erano stati nello studio di un noto consulente, in compagnia di Giuseppe Biondolillo. Al termine dell’incontro Biondolillo, con la scusa di fargli vedere un lotto di terreno, li accompagna in una villa, nel territorio di Carini.
Lì ad attenderli c’era un commando, capitanato da Nino Giuffrè. Sarà proprio “Manuzza”, a distanza di anni, a raccontare nei dettagli ciò che avvenne in quella villa.
“Ho assassinato io quei due fratelli perché non avevano pagato la tangente. Oggi non mi sembra un motivo valido per eliminare due vite umane». All’epoca però il boss di Caccamo la pensava diversamente e, per quella sentenza di morte, aveva ottenuto anche il “placet” del nuovo capo di Cosa Nostra, Totò Riina.
I fratelli Sceusa vengono accerchiati e separati. Nel frattempo Biondolillo va via, fermandosi prima alla stazione di servizio di Caracoli a Termini Imerese e poi proseguendo verso Cerda, dove aveva in agenda degli incontri fissati ad hoc per costruirsi un solido alibi. Ma ad incastrarlo c’è il racconto di Nino Giuffrè che, delle vittime non ricorda neppure i nomi, ma a Biondolillo lo conosceva bene.
Mentre il “sindaco boss” è già sulla strada del ritorno Giuseppe e Salvatore Scuesa verranno prima strangolati, uno nel giardino ed uno dentro la villa, poi presi di peso, gettati in vasca e sciolti nell’acido.
La loro esecuzione non doveva essere solo una “punizione”, ma anche un avvertimento, per tutti. Cosa nostra stava cambiando pelle. L’anno dopo, con le stragi di Capaci e Via D’Amelio, quel cambiamento si manifestò con tutta la sua immonda violenza.