Avrebbe dovuto scontare il carcere a vita. Ma per Domenico “Mico” Farinella, il boss mafioso di San Mauro Castelverde, le porte del carcere si sono riaperte. E Farinella è tornato in libertà. La decisione, dopo un ricalcolo della pena e un provvedimento della Corte d’assise d’appello di Palermo, confermato dalla prima sezione della Corte di Cassazione.
In carcere ininterrottamente dalla fine del 1994, Farinella, figlio di un capomafia che fu componente della commissione di Cosa nostra, Giuseppe detto Peppino, condannato per le stragi e morto nel 2017, stava scontando la massima pena, ma il suo legale, l’avvocato Valerio Vianello, è riuscito ad ottenere l’applicazione dell’indulto su una parte delle condanne e ha ottenuto così la riduzione a 25 anni. L’uomo è stato rilasciato senza alcun obbligo (di soggiorno o di firma) e nonostante la strenua opposizione e i ricorsi della procura generale di Palermo.
L’ergastolo era stato inflitto per effetto della sommatoria di una serie di condanne, a 12, 26 e 30 anni di carcere: tolti tre anni alla condanna a 26 anni, è venuto meno il presupposto del carcere a vita. Nel lasciare il penitenziario di Voghera, “Mico” Farinella ha detto che in Sicilia non intende più tornare. Il boss non è considerato un capo del livello del padre, ma era stato ritenuto colpevole di un omicidio, di mafia ed estorsioni e non ha mai collaborato con la magistratura.
Nel suo pedigree familiare anche parentele “importanti”, nella logica criminale: la moglie è una Pullarà, storico clan di Santa Maria di Gesù e con Farinella fu condannato a 30 anni, per l’omicidio di Antonio Cusimano (2 ottobre 1990) anche il cognato Santino Pullarà; la sorella di Farinella è sposata invece con Francesco “Franco” Bonomo, considerato tuttora il reggente del clan di San Mauro, paese arroccato sulle montagne delle Madonie, tra le province di Palermo e Messina.