Si chiamano Damiano, Pietro e Mario. Sono tre fratelli e sono gli ultimi carbonai delle Madonie. Eredi di una tradizione familiare che dura da generazioni, quando il carbone era l’unica fonte di riscaldamento e le montagne erano densamente popolate. Contadini, pastori, ma anche “cravunari”, come li chiamavano da queste parti. Famiglie intere che, per settimane, andavano a vivere dentro il bosco per raccogliere la legna da ardere.
Quella più adatta, di faggio o di pioppo, veniva portata sul dorso dei muli al campo di lavoro, dove venivano costruite con pazienza le “carbonaie”. A guardarli, questi enormi cumuli legna, sembrano piramidi. Quando il tempo è maturo le “carbonaie” vengono cinte da un anello di pietre e ricoperte di terra e fogliame. Quindi, attraverso un foro lasciato all’estremità, con dei ceppi accesi si procede all’innesco. Poi il fuoco va controllato ed alimentato costantemente, di notte e di giorno, per 5 giorni. Bisogna stare attenti alle fiamme ed al calore: non troppo forte, non troppo debole.
Un occhio alla terra ed uno al cielo: la pioggia ed il vento possono mandare all’aria il lavoro di intere settimane. Le cose sono cambiate nel corso degli anni. I boschi si sono spopolati, i mezzi meccanici hanno preso il posto dei muli. Con le seghe elettriche si risparmia olio di gomito. Ma, oggi come allora, quando il tempo del carbone arriva le giornate dei fratelli Carrubba si allungano: dalle 5 del mattino fino a tarda sera bisogna accudirle quelle piramidi di legno. Cibarle, come dei bambini e, come con i bambini, darsi i turni la notte, perché le “carbonaie” non si fermano con il buio. Continuano il loro lavoro lungo e paziente per trasformare, con il calore, la legna in carbone.
“Prima eravamo tanti – ricorda Damiano mentre taglia in due un altro ceppo – almeno 20 famiglie in giro per questi boschi a fare il nostro stesso lavoro, ora siamo rimasti solo noi. Il carbone non lo vuole più nessuno. Fra i nostri clienti sono rimasti solo quelli che lo usano per cuocere la carne alla brace. Tutti ormai si riscaldano con il metano o con il gasolio”. Con il carbone però è stato progressivamente abbandonato anche il polmone verde che ossigena le Madonie. “Il bosco va gestito!” esclama Damiano Carrubba. Non è semplicemente bello il bosco, è anche generoso. “Un bosco pulito e curato – affermano all’unisono i fratelli – cresce meglio e si evitano anche gli incendi. Un tempo i boschi di proprietà dei Comuni si facevano tagliare, dalla legna si otteneva il carbone, una parte la si lasciava al carbonaio ed il resto veniva utilizzato dal Comune per riscaldare le scuole, gli uffici, il municipio”. Energia pulita a chilometro zero.
Ora, attraverso il progetto europeo “ForBioEnergy” un team internazionale di esperti è a lavoro per consegnare alle istituzioni un piano di gestione forestale per incentivare l’utilizzo della biomassa forestale nelle aree protette (leggi qui la notizia). Per l’Italia l’area pilota all’interno della quale vengono condotti gli studi è proprio quella del Parco delle Madonie. Lo abbiamo spiegato ai fratelli Carrubba. Ne sono felici.