Doveva accadere ed è accaduto. Un essere umano doveva essere sbranato da un branco di suidi per fare scoppiare la bomba mediatica che, da qui a poco, ci potete scommettere, porterà ad una accelerazione sulla norme di attuazione della legge che prevede gli abbattimenti selettivi della fauna selvatica all’interno delle aree protette, come il Parco delle Madonie.
Si perché una legge c’è, ed è datata 23 ottobre 2008: “”Norme di controllo del sovrappopolamento di fauna selvatica o inselvatichita in aree naturali protette”. Uno strumento che aveva dato il là ad un avviso per la creazione di una lista di cacciatori che, accompagnati dalle guardie forestali e dal personale dell'Asp, avrebbero dovuto abbattere, all’interno dell’area protetta del Parco, questi pericolosissimi ibridi, frutto dell’incrocio fra cinghiali selvatici e maiali domestici.
Poi l’impugnativa da parte di sedicenti associazioni ambientaliste, come la Lipu, e l’intervento del Commissario dello Stato che, di fatto hanno svuotato di senso quello che poteva essere uno strumento efficace per evitare la tragedia sulla quale molti oggi verseranno lacrime di coccodrillo.
L’Ente Parco è stato addirittura costretto a stilare un difficile e dispendioso, nonché inutile, censimento dei suidi perché, secondo le menti bacate di certa magistratura, occorreva prima sapere quanti suidi c’erano sulle Madonie per poter dire se davvero questi animali erano in sovrannumero.
Peccato che fior di scienziati come, ad esempio il Prof. Francesco Maria Raimondi, per lunghi anni a capo del comitato tecnico scientifico del Parco delle Madonie scriveva a chiare lettere in una relazione che è ancora agli atti degli uffici regionali, che questi animali non dovevano essere contati ma eradicati, poiché non si trattava di una razza indigena ma di un pericoloso “scherzo della natura”. Non cinghiali selvatici quindi, ma suidi, ibridi da estirpare non solo per l’incolumità della popolazione residente in area di Parco ma anche per una corretta tutela del patrimonio ambientale, messo a repentaglio dalla voracità di queste bestie.
Inoltre, ancorché il testo della legge regionale approvata dall’ARS nella seduta del 23 ottobre 2008 prevedeva all’art. 1 comma 6: “che nei parchi e nelle riserve naturali istituite dalla Regione, ove si verifichi un abnorme sviluppo di singole specie selvatiche o di specie domestiche inselvatichite o di specie delle quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà, tale da compromettere l'equilibrio ecologico degli ecosistemi esistenti o da costituire un pericolo per l'uomo o un danno rilevante alle attività agro-silvo-pastorali, gli Enti gestori delle aree naturali protette predispongono piani selettivi, di cattura e/o di abbattimento, al fine di superare gli squilibri ecologici accertati”, la successiva impugnativa da parte del Commissario dello Stato, nella parte che dava la possibilità agli Enti parco di intervenire anche nei casi in cui l’abnorme sviluppo della fauna costituiva appunto eventuali pericoli per l'uomo o un danno rilevante alle attività agro-silvo-pastorali, ha originato il testo della vigente L.R. 12/2008 che consente all’ Ente Parco di procedere al controllo della fauna selvatica soltanto nel momento in cui vengano accertate dei danni all’equilibrio ecologico esistente tramite la predisposizione di piani selettivi, di cattura e/o di abbattimento, al fine di superare gli squilibri ecologici accertati.
Insomma, il Commissario dello stato scriveva a chiare lettere che la incolumità dei cittadini non era argomento di competenza dell’Ente Parco, rimandando tale incombenza ai singoli comuni, salvo poi perseguire i sindaci che, negli anni scorsi, esasperati da una situazione che oggi si è mostrata in tutta la sua drammaticità, avevano avviato dei piani di abbattimento.
Da allora una infinita serie di tavoli tecnici, di “vedremo”, “faremo”, “ci impegneremo”, da parte di una classe politica che, in correità con alcuna magistratura e un paio di associazioni ambientaliste, vorremmo vedere alla sbarra, imputati per il reato di omicidio colposo.
Qualcuno salterà dalla sedia nell’apprendere che uno dei motivi che per anni ha ritardato l’attuazione dei piani di abbattimento ha a che fare con la distribuzione dei capi abbattuti. Non potendo essere venduti né, neanche in parte, trattenuti dagli eventuali cacciatori selezionati, dovevano andare in beneficenza. Ma tale circostanza comportava l’impossibilità di autofinanziare le campagne di abbattimento, scaricando il notevole costo di tali operazioni sulle casse della Regione, che in teoria avrebbe dovuto finanziare, per il tramite degli stanziamenti annuali agli Enti Parco, tali attività.
Ovviamente di tali stanziamenti neanche l’ombra, in compenso in questi anni si è fatto un gran parlare, sono state convocate commissioni regionali e tavoli tecnici. Ci si è scherzato sopra con il risultato che, mentre nel resto d’Italia e d’Europa circostanze simili alla nostra vengono sfruttate per creare un indotto economico legato alla commercializzazione della carne, qui in Sicilia si muore.