Non piace per nulla il testo di riforma delle Province che sta lentamente (molto lentamente) prendendo forma all’Ars, ai sindaci del comprensorio allargato Termini, Cefalù, Madonie che in un documento condiviso anche da altre municipalità della provincia di Enna e di Messina, esprimono tutto il loro dissenso. “Il testo di riforma appare come fantasioso e senza nessun nesso logico – accusano i sindaci di ben 41 comuni che non ci stanno a subire passivamente la riforma che sta uscendo fuori dalle turbolenze di Sala d’Ercole – non si tiene in considerazione l'attesa dei territori” dubbi anche sulle funzioni e sui servizi dei costituendi consorzi. Nelle scorse settimane i 41 comuni avevano presentato la loro proposta al Governo Regionale per l’istituzione di un libero consorzio.
Il Contesto di riferimento, come già anticipato nel nostro editoriale della scorsa settimana, sarebbe la città a Rete Madonie-Termini, 28 Comuni dell’Imerese e delle alte e basse Madonie, ai quali si aggiungono i Comuni di Alia e Resuttano (che condividono il percorso di pianificazione turistica all’interno del Distretto Turistico di Cefalù e dei Parchi delle Madonie e di Himera), di Roccapalumba e Sperlinga (che condividono il piano di Sviluppo Rurale all’interno del GAL-ISC Madonie) e i 9 Comuni dell’area dei Nebrodi (per i quali, in mancanza di sovrastrutture comunali in comune si parla di una certa continuità territoriale con la Città a Rete e con un’analoga presenza di risorse naturalistiche e culturali) I comuni in questione sono Tusa, Pettineo, Motta d’Affermo, Santo Stefano di Camastra, Caronia, Castel di Lucio, Reitano, Mistretta e Capizzi. Sulla vacuità di insistere sul concetto di identità territoriale ci siamo già espressi nell’editoriale richiamato sopra, vale la pena di ribadire che appare perfettamente inutile insistere con fantasiose argomentazioni sulla logicità dello stare insieme, ad esempio fra Reitano e Roccapalumba, o fra Alia e Mistretta, se non appunto per la necessità di dover inseguire questa confusa ipotesi di riforma.
Ben inteso, nessun atto d’accusa nei confronti di quei sindaci che, anzi, a nostro modo di vedere stanno mostrando caparbietà ed una buona dose di lungimiranza, ma non farebbe male, una volta ogni tanto, dire le cose come stanno. Per dirla con una metafora facile facile, non si tratta di un matrimonio d’amore, ma di nozze riparatorie, di un danno altrui, e per di più imbastite con i fichi secchi (dato che al momento l’unico dato certo è la mancanza di risorse per i futuri consorzi)
Tornano all’esame del testo di legge in lavorazione all’Ars, per i sindaci, negli articoli già approvati, sono emerse alcune criticità. In primo luogo l’elezione del presidente del consorzio, che verrebbe eletto non solo dai primi cittadini ma da tutti i consiglieri comunali dei comuni coinvolti, che però, secondo l’attuale testo di legge, non farebbero parte dell'assemblea dei liberi consorzi. Dando luogo così ad una sorta di allargamento dell’elettorato attivo in occasione dell'elezione del presidente dell'ente. Per i sindaci è evidente l’illogicità “così si creerebbero due distinte assemblee, una elettiva e una deliberante”.
La nascita di nuovi consorzi è comunque subordinata ad una serie di iniziative da parte dei Comuni. Ogni municipio potrà infatti, entro sei mesi dalla pubblicazione del ddl di riforma, chiedere di entrare a far parte di un nuovo libero consorzio. Ma per farlo dovranno rispettare, una serie di requisiti: continuità territoriale, il limite minimo di 180 mila abitanti complessivi e, per l’adesione, i Comuni dovranno esprimersi attraverso delibere approvate dai due terzi dei componenti del consiglio comunale, dopo un referendum confermativo. Questo complesso iter, secondo l’attuale testo di legge, che andrebbe completato in sei mesi! Pura fantasia!
In allegato la proposta avanzata dai Comuni e inviata all’ARS.