Da Caltanissetta a Palermo il viaggio non è lungo. Ma per Giuseppe D’Agata è stato un riconoscimento del suo lavoro. Catanese di nascita, D’Agata, da comandante provinciale dei carabinieri di Caltanissetta, è stato chiamato a dirigere la sezione palermitana della Dia di Palermo. A Caltanissetta D’agata si è distinto per aver coordinato importanti operazioni antimafia, soprattutto a Gela, e per le inchieste sul cosiddetto “cemento impoverito”. A Palermo era già stato all’inizio della carriera, dirigendo il Nucleo operativo della Compagnia San Lorenzo. Nell’intervista che segue, D’Agata, parla a 360 gradi delle operazioni della Dia (senza mai entrare nel dettaglio, per carità), e lancia chiari segnali alla mafia. Come dire, “noi stiamo sempre lavorando”.
Colonnello, da Villa Ahrens un chiaro segnale alla mafia. La Dia continuerà il suo lavoro.
«Sicuramente. La realizzazione di Villa Ahrens è una bellissima cornice ad uno splendido quadro che è la Direzione Investigativa Antimafia, con la sua storia, i suoi successi, le sue indagini, i grandi sacrifici del personale. La scelta di Villa Ahrens, nata grazie all’impiego di fondi europei, è la dimostrazione della ferma e concreta volontà dello Stato di realizzare un presidio di legalità in un quartiere di Palermo storicamente ad alta densità mafiosa».
I dati dei vostri sequestri sono impressionanti. Sei miliardi di euro tolti alla mafia in vent'anni. È in questa direzione che si deve proseguire?
«Credo proprio di si. L’aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati dalle organizzazioni criminali, e nello specifico da “cosa nostra”, costituisce uno dei principali obiettivi nella strategia operativa della Dia rinvigorita dai recenti indirizzi strategici del Direttore nazionale, Arturo De Felice. E non è una novità che i membri delle pericolose organizzazioni criminali temano particolarmente la confisca delle illecite provviste conseguite, non meno della detenzione carceraria».
Non la preoccupa una sorta di ricambio generazionale dell'ambiente mafioso? Mi viene da dire, provocatoriamente, che si fanno arrestare quelli vecchi, mentre i giovani continuano il “lavoro”.
«Il costante impegno della Magistratura, della Direzione Investigativa Antimafia e delle altre Forze di Polizia, ha oggettivamente inferto durissimi colpi a “cosa nostra”. Non ritengo che una così verticistica struttura criminale possa rinunciare “motu proprio” ad elementi di vertice per favorire l’innesto di nuove leve. È tuttavia ipotizzabile, e le indagini in questo senso ad oggi convergono, che in un “continuum” storico, gli aderenti al sodalizio criminale tendano a conseguire posizioni apicali che accrescano il loro potere anche a scapito di soggetti in età avanzata o detenuti. Il tutto in un contesto magmatico che le indagini, seppur a fatica, costantemente decodificano».
Cosa possiamo fare noi cittadini per aiutarvi?
«Sicuramente con una sempre più attenta collaborazione, vicinanza e denunciando eventuali reati, anche conosciuti indirettamente, si accresce la coscienza sociale dei cittadini. In tal modo, anche pensando al futuro, si contribuisce a formare un sempre più alto senso civico ed una cultura della legalità, specialmente nei giovani, che rappresentano la società del domani. Non a caso, nello specifico, è statisticamente dimostrabile il crescente numero di imprenditori che denunciano le estorsioni, supportati dal lavoro delle organizzazioni di categoria, Confindustria Sicilia in prima linea».
Ci sono stati negli ultimi giorni sequestri ed arresti eccellenti. E torna di attualità il nome di Messina Denaro. Ovvio che non può dirmi niente, ma è lui l'obiettivo principale?
«Il latitante Matteo Messina Denaro è uno degli obiettivi delle Forze dell’Ordine. È un delinquente come molti altri e, come tutti gli altri, verrà arrestato».
Non le danno fastidio le inchieste relative alla cosiddetta trattativa Stato-mafia? Lo crede possibile questa sorta di patto?
«Sono questioni sulle quali sono stati svolti approfonditi accertamenti, oggi al vaglio dell’Autorità Giudiziaria. Le Forze di Polizia non avvertono alcun disagio in relazione alle indagini loro delegate e, di norma, assolvono a tali compiti con diligenza e alto senso di responsabilità. All’insegna di tale senso di responsabilità non esprimo alcun giudizio su questioni che formano oggetto di un processo in corso».
Chi erano per lei Falcone e Borsellino?
«Due servitori dello Stato, il cui impegno, professionalità e lungimiranza investigativa costituiscono il faro di chiunque, a qualsiasi livello, creda nella giustizia e in una coesistenza civile dei popoli. Ciò è certamente più significativo per gli Operatori di Polizia che guardano al loro esempio con immutabile ammirazione e riconoscenza. E, d’altronde, non è un mistero che la Direzione Investigativa Antimafia è una struttura ideata e fortemente voluta del compianto Giovanni Falcone».