In una lunga intervista pubblicata ieri sul sito della Diocesi di Cefalù, a firma don Franco Mogavero, il Vescovo Giuseppe Marcinate, a quattro anni dal suo arrivo nella città normanna, traccia un bilancio sociale sul territorio delle Madonie che non fa sconti.
GIOVANI IN FUGA
«Arrivato a Cefalù – ricorda monsignor Marciante – avevo già i tratti dell’identità del territorio. Avevo letto parecchio. Mi ero informato e aggiornato. Avevo registrato la fuga dei giovani. Purtroppo, anche in questi anni l’esodo è stato inarrestabile. Siamo di fronte a una lacerante desertificazione di tutti i nostri comuni. Dobbiamo arrestarne la fuga. Il mio, in questo preciso momento, vuole essere principalmente il grido di un padre che cerca di raggiungere anche il cuore delle coscienze dei nostri amministratori. Se la politica non riesce a trattenere i giovani rischia di diventare una politica fallimentare. Mi pongo sovente una domanda. La inoltro a quanti amministrano: Quanti posti di lavoro sono stati per i giovani? So bene che il crearli non dipende solo dalla politica. Ma va precisato che a livello locale ognuno deve fare la sua parte».
NO ALLA POLITICA DEI FEUDATARI
Marciante continua nel suo forte stimolo per un risveglio ed un rinnovamento, tanto dei metodi quanto dei protagonisti vero della classe dirigente madonita: “In quest’ambito non ho visto fantasia e creatività politica. Bisogna lavorare, invece, in questa direzione. Aprire nuove strade su questo versante. Non sono stati assenti i segnali di speranza. Non sono mancati i timidi tentativi di rinascita” come ad esempio l’esperimento dello smart working sul quale il vescovo dice: “É stato ed è un tentativo buono. Per certi aspetti anche ben riuscito. L’hanno inventato i nostri stessi giovani. La politica ha messo a disposizione alcuni locali per attività di coworking. Tutto questo ci insegna che il protagonismo giovanile è una risorsa. Può dare impulso alla vita politica dei nostri paesi». Sul travagliato percorso d’intesa tra giovani e politica il Vescovo espone un triste riscontro: «Ho chiesto a diversi giovani se intendessero impegnarsi nel mondo della politica. Ho provato a esortarli a intraprendere questo cammino. Hanno tutte le capacità e tutti gli strumenti per dare luce a nuove primavere del servizio alle nostre comunità. La maggior parte ha risposto di non volere spendere in questo specifico settore tempo e energie. Vedono la politica come un affare, un percorso impastato di sola e tanta burocrazia. Serve una buona testimonianza da parte di coloro che sono impegnati nella politica. Va testimoniato che non è un mestiere ma una missione. Per alcune comunità che non sono soltanto le piccole comunità, si è tentato di rinnovare il mandato per una terza volta. Questo sarebbe un grande errore. C’è il rischio di fare diventare i sindaci dei feudatari. Come coloro che non vogliono staccarsi più dalle proprie poltrone. Dobbiamo pensare a dare spazio ai giovani, a nuove energie. Bisogna creare figure nuove di giovani politici. La Chiesa deve riprendere la sua storica missione di formare uomini per la politica. Una volta lo facevano i partiti. Dobbiamo creare scuole di politica ispirate alla dottrina sociale della Chiesa. Essa resta una risorsa preziosa per tutta l’umanità. Lo è tutto il magistero di Papa Francesco. A iniziare dalle due encicliche Fratelli tutti e Laudato sì». E incalza: «Dobbiamo farlo. Con un nuovo metodo: quello di formare uomini appassionati della politica. Non dobbiamo creare lo strumento, ma l’anima. In questo iter formativo potrebbero inserirsi e dare il loro prezioso contributo, legato all’esperienza vissuta nel tempo, anche i politici “navigati”, ma senza l’anima dei feudatari».
LA PANDEMIA
Con Monsignor Marciante si parla anche della pandemia e delle pesanti conseguenze sulla vita delle persone. «Ci ha messi in ginocchio. Siamo tutti a terra. Lo sono tante famiglie. Terribilmente ferite dai venti devastanti della disoccupazione e cassa integrazione. Ho visto improvvisamente tanti ristoranti e alberghi chiudere. Chiudere posti di lavoro. La pandemia ci ha dato conferma che non si può vivere solo di turismo. Resta sicuramente una grande risorsa. Ma non può essere l’unica. Infatti, ci ha fatto comprendere che è miope quella politica che orienta per il futuro tutte le sue attenzioni sul turismo, come se fosse l’unica risorsa presente sul nostro territorio».
CEFALU’ E LE MADONIE
«Il turismo per Cefalù è certamente una realtà trainante. Ma il mio sogno è quello che la nostra cittadina diventi, anche per il settore legato al turismo la porta delle Madonie. Cefalù non può e non deve chiudersi in se stessa. Bisogna pianificare in tal senso percorsi politici di mediazione e non solo autoreferenziali. Purtroppo, è presente quella tendenza che mira a volere trattenere a Cefalù tutto il flusso turistico in modo quasi egoistico. Bisognerebbe portare avanti iniziative che irradiano percorsi turistici anche nelle aree interne delle nostre Madonie. Sono quelle che soffrono di più. Sono le più trascurate, le più abbandonate». «Cefalù dovrebbe sentire alto e bello il peso di questa responsabilità. La leggo come un prezioso servizio da portare avanti a favore di tutto il territorio della nostra diocesi. Quasi come una sorta di consegna, un mandato da assolvere, legato alla custodia e alla piena valorizzazione dell’immenso patrimonio artistico che possediamo. Un’eredità straordinaria sulla quale dobbiamo investire in un circuito che sia sinodale e solidale».
UNA FACOLTA’ DI MEDICINA A CEFALU’
“É inarrestabile il mio bussare alle porte dell’Università Cattolica e dell’Università di Palermo affinché a Cefalù nasca, attorno al nostro ospedale, una facoltà di medicina – afferma il vescovo nella lunga intervista – I primi passi pare siano stati fatti. Mi sto impegnando a chiedere all’Università Cattolica di investire anche al Sud. Ha trainato negli anni anche tanti giovani dal Sud. Tante intelligenze, un vulcano di talenti. Serve adesso una sorta di ritorno. Dobbiamo fare crescere la scienza medica per fare crescere la qualità dei nostri medici. Ho appreso, partecipando a Palermo a una conferenza di Confindustria, che mancano medici e infermieri. Abbiamo una sanità in forte crisi. Come non ricordare i continui ritardi nell’organizzare le hub vaccinali, le tante disfunzioni a livello burocratico per far decollare la vaccinazione; come non denunciare l’agonia dell’Ospedale Madonna dell’Alto di Petralia Sottana.
L’ASSISTENZA SANITARIA
“Bisognerebbe pensare a un nuovo modello per l’accoglienza e l’assistenza agli anziani. Quella domiciliare è sempre da privilegiare. L’anziano va assistito a casa. Ci vogliono appositi operatori per prestare questo servizio. Dobbiamo preparare un personale che sappia accudire e offrire le dovute e possibili cure a casa dell’ammalato. Penso, legato alla facoltà di medicina, a un qualificato percorso di formazione per i futuri operatori a domicilio degli anziani, degli ammalati, dei diversamente abili. I nostri paesi potrebbero accogliere case per anziani, piccoli villaggi dove i nostri “vecchietti” potrebbero avere anche spazi per ricevere parenti e amici. E lì ricevere ogni tipo di assistenza. È una alternativa alla ospedalizzazione. Parliamo di residenze assistite. Gli anziani, come sostiene Papa Francesco, sono le nostre radici. Per cui con i giovani che trovino lavoro occupandosene, si creerebbe un rapporto tra le generazioni non solo straordinario ma soprattutto virtuoso».
IL DIALOGO FRA CHIESA E POLITICA
«Il dialogotra la Chiesa e le amministrazioni è vitale. La Chiesa non è dirimpettaia, non è concorrente dei sindaci o delle amministrazioni. Anche se ci fosse qualche possibile gesto di intraprendenza in qualche iniziativa da parte della Chiesa, non c’è mai una pianificazione che conosca la logica della concorrenza. La Chiesa non ha e non può avere mire a governare o a prendere il potere. Offre un servizio – precisa il Vescovo – Penso che i nostri amministratori durante i diversi incontri hanno capito lo spirito della nostra realtà ecclesiale. La Chiesa a volte può anche pestare i piedi quando reclama determinati diritti o chiede di rispettare determinate norme. Può essere anche una Chiesa scomoda. Serve sincerità e lealtà. Un dialogo aperto. D’altra parte i sindaci che ho incontrato sono di tutte le estrazioni politiche. Ormai i partiti vivono una crisi esistenziale. Inoltre, avverto fortemente come la classe politica cerchi il dialogo con la Chiesa. Si tratta quasi di un bisogno. L’importante è che non sia mai strumentale.
LA GUERRA
Monsignor Marciante non tace sulla guerra. In special modo sulle cause e conseguenze: «Dobbiamo prendere le distanze da ogni possibile forma di nazionalismo. Questa guerra è frutto di un nazionalismo. Quando si esaspera il nazionalismo si arriva alla guerra. Anzitutto bisogna abbattere l’idea di nazionalismo. Insieme al populismo è un virus che alimenta la guerra. Ogni stato dovrebbe abborrire la guerra come strumento di soluzione. Genera solo e sempre l’inciviltà. Un popolo che fa la guerra ad un altro popolo regredisce. Non avanza culturalmente, politicamente e spiritualmente».