E’ durato ben sette giorni il completo dispiegamento e tensionamento dello scudo termico del James Webb Space Telescope (Jwst), il più grande e potente telescopio spaziale nato dalla collaborazione di tre agenzie spaziali: l’Agenzia Spaziale Americana Nasa, l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e l’Agenzia Spaziale Canadese (Csa).
Lanciato dalla base spaziale europea di Kourou nella Guiana francese il 25 dicembre scorso sul razzo Ariane 5 e ripiegato come una specie di origami, il 31 dicembre il Jwst ha iniziato la complessa fase di dispiegamento del suo delicato schermo solare. In quel momento il telescopio si trovava a circa 650.000 chilometri dalla Terra e viaggiava a 2.500 chilometri orari. La sua meta finale è il punto lagrangiano L2 a 1,5 milioni di chilometri dalla nostra Terra, in direzione opposta al Sole e che raggiungerà in circa un mese. L2 non è un punto fisso, ma un punto che segue la Terra intorno al Sole, fornendo al Jwst un’orbita stabile molto lontana dalla nostra stella e dalla Terra. Su L2 il James Webb potrà mantenere il puntamento stabile e un’elevata efficienza di osservazione. Inoltre, il suo schermo solare bloccherà la luce e il calore che provengono da Sole, Terra e Luna permettendogli di lavorare ad una temperatura estremamente bassa (a -233°C), indispensabile per osservare l’universo nell’infrarosso.
L’obiettivo è quello di rispondere ad alcune domande sulle caratteristiche dell’universo primordiale, sulla formazione di stelle e galassie oltre alla loro evoluzione nel corso del tempo, andando poi a studiare in grande dettaglio alcuni dei molteplici sistemi planetari, per fornire una migliore conoscenza dell’atmosfera e dei composti chimici che potrebbero indicare la presenza della vita su questi nuovi mondi aiutando a comprendere di più il nostro pianeta e il nostro Sistema Solare.
Il Gal Hassin di Isnello, con il suo Galhassin Robotic Telescope 1 (Grt1) di 40 centimetri di diametro, ha osservato la prima fase di apertura dello schermo solare nella serata del 31 dicembre, tra le ore 20,20 e le 23,30 ora italiana. Le osservazioni sono state compiute da Alessandro Nastasi, astronomo informatico, che ha misurato una variazione di luminosità del James Webb di circa 2,5 volte, conseguenza dell’aumento della superficie riflettente dello schermo solare durante il suo dispiegamento. “Dopo un’ora di osservazione, verso le 21,30, ho osservato un aumento costante della luminosità, che poi si è arrestato intorno alle 22,50 – racconta Alessandro Nastasi – Questo istante coincideva perfettamente con l’orario ufficiale fornito dalla Nasa come fine della procedura di dispiegamento del lato sinistro dello scudo termico. L’aumento della superficie riflettente ha comportato un incremento di magnitudine di un fattore 1, in altre parole il James Webb è diventato 2,5 volte più luminoso di quanto fosse quasi due ore prima”.
Il James Webb mostra talvolta rapide e intense variazioni di luminosità a seconda dell’angolazione con cui i raggi solari incidono sui suoi diversi elementi. Tali variazioni non durano però più di una quindicina di minuti. L’aumento di luminosità registrato dal Grt1 è stato lineare per circa un’ora e mezza, proprio come ci si aspetta da un oggetto che si espande in modo costante e continuativo nel tempo. Ad oggi il Gal Hassin risulta l’unico osservatorio al mondo ad avere misurato la fotometria accurata del Jwst durante una delle fasi più importanti della sua apertura. “Osservare il James Webb in viaggio nello spazio con i nostri strumenti è già di per sé una grande emozione, ma essere riusciti a catturare in diretta uno dei momenti più critici e fondamentali dell’attivazione di questo grandioso strumento, è qualcosa di straordinario per chi fa ricerca” conclude Nastasi. Attualmente il Webb ha completato tutte le operazioni di dispiegamento e sta iniziando ad allineare i 18 tasselli esagonali che costituiscono il suo specchio primario in modo che possano funzionare come un unico grande specchio convergente, e poi passerà alla calibrazione degli strumenti. Entro l’estate dovrebbero arrivare le prime immagini. Tutto questo a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra per osservare lontano nello spazio e indietro nel tempo, fino a 13,5 miliardi di anni fa nel nostro universo primordiale.