Un team di sub è pronto per immergersi al largo del Golfo di Cefalù. Lì, nel silenzio dei fondali le reti fantasma soffocano una grande secca, mettendo a rischio l’ecosistema. Marco e Andrea conoscono bene quel sito, tramite le coordinate GPS la scorsa estate sono arrivati nel punto esatto in cui si verifica il fenomeno. Durante l’immersione, si è aperta davanti a loro la vista delle reti che avvolgevano ogni cosa. “Da quel momento il mio pensiero fisso è rimuoverle – racconta Marco Spinelli, che condivide con il fratello Andrea la passione per il mare- Non andavo lì da qualche anno, ma ho subito pensato di filmare tutto, perché toglierle non basta: bisogna raccontare cosa sono e cosa fanno le reti fantasma”. Nasceva così la Missione Euridice: l’obiettivo è di rimuovere e girare un documentario sul tema.
Le reti fantasma sono quelle usate dai pescherecci nelle battute di pesca. Si incagliano accidentalmente tra le rocce, spesso è impossibile rimuoverle, così vengono abbandonate. La secca di Cefalù si trova su un fondale di circa 50 metri da cui emerge un grande scoglio anche di circa 250 metri quadrati. Diventa un ripascimento ideale per i pesci che possono creare lì delle piccole tane, e trovare riparo tra le insenature. Per loro è una sorta di oasi nel deserto, mentre per i pescatori una zona molto pescosa. Le reti restano bloccate spesso perché le imbarcazioni si avvicinano troppo al punto critico, magari sbagliando rotta di pochi gradi. Il fenomeno ha però, numeri notevoli: ogni anno 640 mila tonnellate di reti da pesca vengono disperse in mare. Si tratta del 10% di tutti i rifiuti plastici presenti nelle acque dell’intero pianeta. L’Unione Europea in particolare, stima che il 20% delle attrezzature da pesca utilizzate nel continente finiscano nel Mar Mediterraneo: 11 mila tonnellate ogni anno.
La Missione Euridice – chiaro il richiamo al mito di Orfeo che scende da Ade per riavere la sua amata Euridice, affrontando la morte come momento necessario per riacquistare la vita – sarà articolata in vari step: si partirà con un’analisi del sito per conoscere la quantità di reti presenti e la tipologia, se sono spesse richiederanno più tempo per essere rimosse. Quindi, saranno portate in superficie con dei palloni di sollevamento: a occuparsene sarà un team di tre o quattro sub impegnati sul fondale, mentre Marco Spinelli dirigerà le riprese, oltre a immergersi lui stesso con la cinepresa sott’acqua. Infine, avrà inizio una intera fase di studio con l’esperto Andrea Spinelli, biologo marino, sull’impatto ambientale delle reti sul sito. Salvo imprevisti – come il vento contrario che potrebbe inficiare la visibilità o le maree sfavorevoli – la missione richiederà solo pochi giorni, molto dipenderà dalla quantità di reti presenti.
Il progetto si avvale della collaborazione dell’Oceanografico di Valencia, dove Andrea lavora, che li supporterà con attrezzatura subacquea, tute e tutto ciò che va utilizzato in acqua. Anche la Capitaneria di Porto di Cefalù si è resa disponibile fornendo supporto logistico e barche d’appoggio. Quanto ai fondi necessari, nell’impossibilità di ricavarli altrimenti – come spesso accade ultimamente – è stata lanciata una raccolta crowdfunding sulla piattaforma Go Found me. “I soldi servono a coprire le spese – spiega Marco – le reti, in un modo o nell’altro, saranno rimosse – ma il vero obiettivo è realizzare un documentario come si deve”. Sono previsti costi per gli spostamenti, le imbarcazioni, la benzina, gli alloggi.
L’impatto ambientale che le reti causano sugli ecosistemi marini non è molto trattato. Dopo un tentativo fallito presentando il progetto a International Geographic, i fratelli Spinelli hanno insistito, mossi dalla necessità di documentare i fatti. In Italia e in Europa se ne parla poco e manca uno studio su cosa possono provocare. Ci si limita spesso alla rimozione delle reti, ma una delle conseguenze più evidenti è l’ostruzione delle tane, i pesci sono in trappola e finiscono per morire, mentre quelli che restano fuori non possono annidare. Infine, diventano un problema per i pescatori stessi, che durante battute lunghe anche 24 ore non riescono a raccogliere molto risultato. Riducono la probabilità di pesca, e ciò li scagionerebbe dall’intenzione di abbandono volontario delle reti. “Noi lo chiamiamo “l’inquinamento invisibile” perché spesso si parla della plastica nei mari – continua Marco – solo di recente Netflix ha messo a disposizione un documentario che parla di rifiuti in mare e tra questi vi sono anche le reti, il tema quindi sta diventando attuale e il nostro scopo è raccontare storie, raccontandole mettendo in atto il progetto stesso, sensibilizzando anche, perché la gente non ha idea di cosa si nasconde nelle acque dei nostri mari”.
Il sito attorno al quale vuole operare la Missione è poco visitato poiché conosciuto solo da pochi amanti delle immersioni, questo ha permesso nel tempo l’evolversi di fauna, flora e coralli marini. Adesso però, l’integrità del fondale è fortemente a rischio a causa delle reti che tendono a soffocare la vita sottomarina; è il caso delle gorgonie, un corallo bianco: “A Cefalù l’ho visto solo in quel punto – spiega Marco – l’80% è soffocato dalle reti che ne hanno bloccato la crescita”. La raccolta fondi ha quasi raggiunto la cifra di 6 mila euro, con grande stupore dell’organizzatore che è riuscito a raggiungere oltre 300 donatori da tutta Italia. Rimarranno aggiornati sull’impresa tramite un apposito canale, ha assicurato Marco. Insomma, manca sempre meno all’inizio della Missione contro l’inquinamento “invisibile” dei mari siciliani, che si svolgerà durante l’estate 2021.
Sofia D’Arrigo, Laura Lipari