Cronaca

Storia della Phiale Aurea, l’inestimabile reperto conservato al museo Himera

Sono trascorsi più di vent’anni dalla sentenza esecutiva del tribunale giudiziario di New York, pronunciata  in data 29 Febbraio 2000, che ha legittimato la restituzione tempestiva allo Stato italiano  della pregevole phiale aurea di Himera. La sterminata mole di notizie pervenuta nel corso dell’ultimo ventennio permette di ricostruire per filo e per segno la peregrinatio clandestina di cui è stato oggetto l’antico manufatto, rinvenuto fortuitamente nel 1980 durante la costruzione di un pilone della linea  elettrica  nei pressi di Caltavuturo. Il reperto, secondo quanto emerso dalle fonti, venne acquistato da un  collezionista catanese e in seguito rinegoziato con un ricco possidente ennese, amante del collezionismo archeologico. La prima notizia sulla coppa è stata riportata da G. Manganaro, dichiarando di aver appurato l’esistenza del prezioso manufactus in una collezione privata siciliana di cui ha fornito una minuziosa documentazione fotografica. Nel 1991 la phiale venne clandestinamente trasportata  a Lugano e recapitata allo svizzero William Veres, che di lì a poco mediante l’ausilio di Robert Haber, proprietario di una società afferente all’arte antica, la vendette allo statunitense Michel Stheinardt in cambio di un’esosa cifra pari a 1.200.000 dollari. Il miliardario statunitense convocò un équipe di esperti storici del Metropolitan Museum  per acclarare l’autenticità e il valore del vase d’or acquistato. Cinque anni dopo il trafugamento, la Procura di Termini Imerese avviò una minuziosa indagine sotto la supervisione del procuratore Aldo de Negri e  Salvatore Messineo, maresciallo dei Carabinieri; la campagna investigativa si protrasse indefessamente sino al 1995, anno in cui la Procura locale  avanzò la  richiesta di restituzione del repertus  all’autorità giudiziaria newyorkese. In via successiva si esplicò un ulteriore perizia per accertare l’auctoritas dello stesso, condotta dai Professori Nicola Bonacasa, Giuseppe Nenci ed Antonietta Brugnone. I periti ne confermarono l’originalità, successivamente comprovata da un’aggiuntiva disamina tecnico-scientifica che chiamò in causa un gruppo di ricercatori dell’università di Siena e della Sapienza di Roma. A compimento dell’iter analitico l’organo competente della metropoli statunitense, dopo aver riconosciuto illeciti doganali ad Haber e Stheinardt, autorizzò il trasferimento del ceramic artefact in direzione dello Stato italiano. Nel 2002  la tutela  dell’inestimabile  vasum  è stata assegnata alla dottoressa Adele Mormino, soprintendente ai “Beni Culturali e Ambientali di Palermo”. Poche notizie sono affiorate in merito al possibile luogo di provenienza e fabbricazione della phiale, ancor oggi oggetto di una querelle alquanto animata tra gli studiosi. Differente il parere dei ricercatori al riguardo del locus di rinvenimento; communis opinio ritenere che si tratti proprio dell’area territoriale di Caltavuturo, tesi per di più  avvalorata dall’individuazione di un centro artigianale ellenistico ubicato a ridosso dell’odierno Monte Riparato.

Quanto alla produzione dell’oggetto ceramico ricorre una brillante ipotesi caldeggiata dallo studioso Nicola Bonacasa, secondo il quale spicca una marcata complementarità tra il vaso di Caltavuturo ed un altro, di eguale fattura, conservato al Metropolitan Museum. L’incredibile somiglianza stilistica tra i due esemplari alimenta la teoria di una produzione proveniente dalla mano di un singolo ceramografo per ambedue le produzioni vascolari. Le ultime  ricerche storico-archeologiche hanno, altresì, attestato un solido contatto commerciale tra la Sicilia ellenistica e le varie aree del Mediterraneo, arguendone un vivido interscambio culturale che ha propiziato l’ingresso di molteplici ceramografi stranieri nell’entroterra siculo con specifiche competenze artigianali acquisite nelle terre d’origine. Ad ogni modo la cosiddetta phiale mesomphalos rappresenta un unicum per gusto e finezza decorativa, contraddistinta dalla preziosità dell’oro e da un leggiadro rimando ai repertori decorativi che hanno influenzato la raffigurazioni vascolari dei vasi attici; abbondano lungo l’intera superficie variegati motivi ornamentali costituiti da api, fiori di loto, tralci di vite e foglie. Degna di nota anche l’iscrizione a caratteri greci, probabilmente realizzata mediante la nota technique a puntini che sembra riportare il nome del magistrato Damarco Achirio. Non passano in sordina altre parole incise sul corpus vasale, da cui se ne ricava un sistema numerale che, a giudizio di Mario Lombardo, afferisce al V decreto di Entella. Exemplum di un’acerrima lotta contro la criminalità,  il recupero della coppa aurea, oggi conservata nelle maestose sale dell’ Antiquarium di Himera, arricchisce oltremodo il prestigium patrimoniale della nostra isola e simboleggia la perenne battaglia contro il trafugamento illecito dei beni culturali.

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