Il gip di Piacenza Luca Milani, che si sta occupando dello scandalo della caserma dei carabinieri di Piacenza, nella sua ordinanza di custodia cautelare, tratteggia il profilo del maresciallo maggiore Marco Orlando, originario di Petralia Sottana e finito agli arresti domiciliari.
“Un atteggiamento caratterizzato da dolose omissioni, falsità, superficialità e accidia per mere ragioni di carriera personale”. Queste le parole utilizzate dal gip sull’ex comandante della caserma “Piacenza Levante”, dove sarebbero avvenuti numerosi abusi e dove i carabinieri avrebbero – secondo la Procura – anche gestito lo spaccio, compiuto arresti illegali e persino torture. Dal provvedimento, emerge non solo che Orlando, fosse “inviso alla maggior parte dei suoi colleghi”, ma anche che, pur avendo un grado superiore, avrebbe subito per “inadeguatezza” le “volontà dell’appuntato Giuseppe Montella”, arrestato anche lui con l’inchiesta “Odysseus”.
Il giudice parla di “inadeguatezza del comandante Marco Orlando, che seppure formalmente superiore gerarchicamente subisce le volontà dell’appuntato Giuseppe Montella”. Proprio l’appuntato Montella non avrebbe esitato a fargli persino dei dispetti: “Se mi richiami così me ne rientro, non sto fuori a fare i posti di controllo”, diceva in pieno lockdown il maresciallo all’appuntato, ma questi e “per dispetto – scrivono gli inquirenti – non lo aveva appositamente ricontattato: “L’ho avvisato secondo te? Là fuori deve morire, al freddo”.
Dopo uno degli arresti che sarebbe stato compiuto in modo illecito il maresciallo Orlando sarebbe stato – stigmatizza il giudice – “più attento a comunicare trionfalmente al maggiore Stefano Bezzeccheri (anche lui sotto inchiesta, ndr) il successo dell’operazione e a farsi immortalare con i suoi militari nella classica foto di rito da consegnare ai giornalisti locali piuttosto che a compiere i propri doveri”. Per il gip “i carabinieri avevano tutto l’interesse a continuare ad eseguire qualche arresto ogni tanto senza dover faticare per svolgere più complesse attività di indagine. Lo stesso discorso vale anche per gli ufficiali Orlando e Bezzeccheri, interessati a non mettere in discussione le modalità irregolari con le quali venivano effettuati gli arresti, non certo per continuare ad assicurare pericolosi criminali alla giustizia, ma il primo, per la sua evidente incapacità di ottenere risultati investigativi in altra maniera, il secondo per mere ragioni di carriera personale”.
“Come nelle altre occasioni, il comandante Orlando avrebbe contribuito alla formazione di atti falsi, caratterizzati da omissioni e da attestazioni di fatti mai accaduti – scrive il gip in relazione all’arresto illecito di uno straniero -. Ma è senza dubbio ancor più grave pensare che egli possa aver tollerato che sostanzialmente per tutto il pomeriggio presso la sua caserma avvenissero costanti violazioni di norme penali e delle più basilari regole di buona condotta, dal maltrattamento di un soggetto che chiedeva notizie dei suoi effetti personali alle due sedute di pestaggio del soggetto arrestato, che sono state correttamente qualificate dal pm come episodi di tortura”.
Il maresciallo sembra non fosse molto simpatico ai colleghi, ma questo per il gip non sarebbe certo un motivo sufficiente per attenuare le sue responsabilità: “Dalle frasi scambiate tra i carabinieri in servizio presso la stazione Piacenza Levante e dai commenti effettuati sul conto di Orlando da Bezzeccheri è parso chiaro – dice il giudice nell’ordinanza – come Orlando sia inviso alla maggior parte dei suoi colleghi, ma questa non può certo rappresentare una scusante per un atteggiamento che ha assunto i contorni del penalmente rilevante, caratterizzato da dolose omissioni, falsità, superficialità e accidia“.
“Non si può sottacere la circostanza per la quale il comandante della stazione Piacenza Levante, Marco Orlando, non abbia mai avuto alcuna remora a falsificare atti e ad omettere importanti comunicazioni ai magistrati delle Procura, mentendo spudoratamente nelle comunicazioni telefoniche con loro. Con simili premesse – afferma il gip – non può certo escludersi che l’indagato si attivi per cercare di occultare prove o interferire sulla genuinità delle testimonianze di altri colleghi, specie se di grado inferiore. Per questi motivi occorre prevedere a suo carico una misura adeguata”.