Qualche settimana fa abbiamo rilanciato la discussione sull’assenza dei lupi nei boschi della Sicilia. Una provocazione, certo, nata principalmente dalla necessità di trovare una soluzione alla proliferazione incontrollata di suidi e daini, ma anche un’occasione per provare a stimolare tra gli esperti un serio dibattito sulla questione: estinti per colpa nostra, i lupi in Sicilia non potranno più diffondersi, per ovvie ragioni geografiche. A meno che non ce li riportiamo.
La discussione, scatenatasi principalmente sui social network, ha coinvolto un pubblico molto vasto, e tra opinioni di varia natura, curiosità, paure e superstizioni, si è letto veramente di tutto. È opinione comune, per esempio, che i lupi facciano strage di bestiame e costituiscano dunque una minaccia per allevamenti e allevatori. A chiarire ogni dubbio su questo aspetto arrivano gli interessantissimi dati del primo monitoraggio per radiocollare mai effettuato in Italia sul lupo. In Trentino Alto Adige, nei mesi scorsi, i tecnici provinciali sono riusciti ad apporre un collare radio su una giovane lupa che fa parte di un branco della zona tra la Val di Non e la Val d’Ultimo. Il primo mese di osservazione ha prodotto risultati estremamente interessanti considerando che, contrariamente a quanto supposto dall’opinione pubblica, l’esemplare non ha mai attaccato masi (le baite di montagna della zona) e bestiame.
La lupa si è cibata esclusivamente di animali selvatici. Il progetto di monitoraggio è stato inoltre accompagnato da una capillare attività di prevenzione attraverso l’impiego di sovvenzioni pubbliche per la sensibilizzazione della popolazione e la realizzazione di strumenti di protezione per alcuni allevamenti di montagna. Certo, i numeri del progetto sono ancora piccoli, considerando soprattutto che il monitoraggio è durato appena un mese, e che non si può escludere completamente il contatto tra animali selvatici e bestiame, tuttavia i risultanti sembrano incoraggianti soprattutto per chiarire alcuni odiosi luoghi comuni.
Tra gli altri punti sorti durante la discussione, c’è poi il randagismo. Cani randagi e vaganti possono essere al pari dei lupi responsabili di predazioni a danno del bestiame domestico e selvatico. Un esempio? Nella giornata di sabato, sulla provinciale 54 tra Piano Zucchi ed il laghetto di Mandria del Conte, un daino (probabilmente rimasto intrappolato in un filo spinato) è stato sbranato da un branco di cani randagi, piuttosto aggressivi anche nei confronti di alcuni visitatori che si erano avvicinati ad osservare la scena. A differenza dei lupi, che predano la fauna selvatica per sfamarsi, i cani randagi possono uccidere un daino o un cinghiale anche per “gioco” senza poi cibarsene. Il fenomeno dell’omessa custodia dei cani, oltre a rappresentare un serio problema di incolumità pubblica (e per alcune razze si può incorrere il rischio di essere condannati come specificato nell’articolo 672 del codice penale), rappresenta una vera e propria minaccia per il bestiame, oltre a rappresentare un elemento di competizione territoriale con il lupo.
Ovviamente non si vuole colpevolizzare gli animali, ma la loro mancata gestione. Per cui è chiaro che prima di parlare di qualsiasi reintroduzione, e probabilmente a prescindere da questa idea, andrebbe quantificato il fenomeno del vagantismo canino nel Parco delle Madonie. Nei parchi in cui sono presenti i lupi poi, la contemporanea presenza di cani randagi può rappresentare un serio problema di conservazione della biodiversità. I cani, infatti, possono accoppiarsi con i lupi dando vita al fenomeno dell’ibridazione, esattamente come sta accadendo con i cinghiali e i maiali selvatici. Naturalmente tutto ciò va affrontato con l’informazione e la sensibilizzazione capillare della cittadinanza sulla problematica e sulla corretta gestione degli animali, domestici e non. Il dibattito ovviamente non si ferma qui.