Cronaca

Mafia, la morte di Farinella apre scenari inquietanti. Ora chi sarà il successore?

E’ morto in carcere Giuseppe Farinella, il boss indiscusso del “mandamento silenzioso” quello di San Mauro Castelverde, guidato dal capomafia maurino per 40 anni e poi passato alla reggenza prima del nipote, Domenico Virga di Gangi, poi del genero Francesco Bonomo di San Mauro. Entrambi in carcere. Un potere, quello esercitato dai Farinella, che si dispiegava lungo un territorio vastissimo, dalle Madonie ai Nebrodi, dal litorale cefalutano fin quasi a Sant’Agata di Militello. Un potere mai messo in discussione, fin dai tempi in cui il padre di Giuseppe Farinella, Mariano, figurava fra i più pericolosi briganti cui diede la caccia il “Prefetto di Ferro”, Cesare Mori, al tempo del “far west delle Madonie”.

Una mafia silenziosa quella voluta dal boss di San Mauro, ma non per questo meno spregiudicata. La “strategia territoriale” messa in atto da Giuseppe Farinella si fondava sugli insegnamenti dei “briganti” ma guardava con audacia al futuro. Niente pizzo nelle alte Madonie, la “sua” gente non doveva essere vessata da quella che a lui sembrava una elemosina, ma l’atteggiamento comprensivo scompariva di fronte al business degli appalti. Qui il sistema del racket era una costante, un sistema collaudato al quale non sfuggiva nessuno. Poco, pochissimo piombo, tanti, tantissimi soldi. E’ il fiuto per gli affari la costante del capo dei capi madonita. Un fiuto trasmesso anche ai suoi successori. Furono infatti i reggenti del mandamento di San Mauro i primi a pensare di abbandonare il mercato della droga per dedicarsi al più proficuo (e tranquillo) mercato dei diamanti. Progetto svanito nel 2002 quando Virga e Bonomo finirono in galera.

Nato la notte di natale del 1925 Giuseppe Farinella da giovane e rampante boss ha scalato velocemente le gerarchie provinciali diventando uno dei più giovani e longevi membri della “commissione provinciale”. Il suo nome è stato accostato alle pagine più scure della storia patria. La strage di Capaci, quella di via d’Amelio e tutta una serie di delitti decisi dalla “Cupola” dalla fine degli anni ’70 fino al 21 marzo del 1992, giorno del suo primo arresto. Ma anche dopo il ’92 Farinella ha tenuto ben saldo il potere, mostrando di poter fare il buono ed il cattivo tempo sul cielo delle Madonie anche da dietro le sbarre.

Era grande amico del “Papa” Michele Greco, a cui assicurò un lungo rifugio fra le campagne delle Madonie prima della sua cattura a Caccamo. Ma non esitò a passare dalla parte dei Corleonesi quando fiutò, prima di altri, come stavano andando le cose a Palermo. Una intercettazione rimasta famosa segna la sua adesione all’ala stragista. Da pochi giorni si era consumato il delitto di Salvo Lima. Giuseppe Farinella viene intercettato con Giovanni Brusca ed oltre a manifestare giubilo, dichiara la propria disponibilità chiedendo al suo interlocutore di riferirlo a Totò Riina “Finalmente si sono messi a romperci le corna cioè finalmente abbiamo messo mano. Se c’è bisogno sono a disposizione”. Ed a disposizione Giuseppe Farinella lo fu davvero. Fu lui ad indicare ai corleonesi uno degli artificieri della strage di Capaci, Pietro Rampulla, appartenente ed obbediente al mandamento di San Mauro Castelverde.

La morte del boss madonita arriva in un momento in cui la mafia rurale, di cui Farinella è stato l’ultimo e più celebre esponente, è sotto l’occhio del ciclone. Nelle Madonie l’operazione black cat ha inferto un duro colpo alle nuove leve che, proprio sul “rispetto ai vattiati” stavano cercando una necessaria legittimazione per scalare posizioni all’interno dei mandamenti di San Mauro e di Trabia, privi da tempo di vertici operativi. Ora che Farinella è morto, ed i suoi più fidati reggenti sono in carcere, chi prenderaà in mano il mandamento?

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