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Tutta colpa di Prandelli?

Ci sono almeno un paio di vizi riscontrabili nel nostro Bel Paese durante le competizioni che riguardano la nostra Nazionale, un paio di cattive abitudini che ci portiamo dietro da quando il calcio è diventato lo sport Nazional-popolare.

La prima, la più evidente, è quella della trasformazione collettiva di gran parte della popolazione in allenatori, commissari tecnici, preparatori atletici, dirigenti e chi più né ha più né metta. Insomma, tutti diventiamo grandissimi esperti di calcio e responsabili delle sorti della nostra squadra, che un po’ tutti abbiamo a cuore.

Fin qui va tutto abbastanza bene: ci crediamo, ci arrabbiamo e tutti mastichiamo un po’ di calcio. Quello che non va bene, però, è il corollario a tutto questo: la capacità di saltare sul carro dei vincitori con una velocità inaudita e quell’altrettanto veloce capacità di scendere alla fermata successiva. Alzi la mano chi riteneva Balotelli un bidone al 93’ di Italia-Inghilterra; alzi la mano chi riteneva necessario portare a questa spedizione Brasiliana il “compianto” Pepito Rossi, o che riteneva inadeguato quel 4-4-1-1, o chi diceva che Prandelli non né capisse una mazza, il giorno successivo alla prima gara contro l’annunciata corazzata Britannica.

Alzi la mano chi difende oggi il nostro ct dimissionario, chi spalleggia il ragazzo di colore tutto cresta e poco cervello, chi ritiene il nostro calcio all’altezza dei Top Team Internazionali. Tutti sopra e tutti giù dal carro, con competenza e analisi logiche forbite, tanto per non farci mancare niente.

La seconda abitudine che non ci abbandona mai, è l’analisi sociologica e politica successiva ad una disfatta calcistica. I collegamenti tra le Balotellate, la confusione di moduli di Prandelliana memoria, la pochezza dei nostri centrali difensivi e la decrescita del Prodotto Interno Lordo, la piaga della disoccupazione giovanile e la vergogna del vitalizio dei senatori della Repubblica, si sprecano a colpi di click e firme autorevoli.

“Hai visto? Te l’avevo detto, siamo falliti, atru ca l’uttanta euro di Renzi”. A tutto questo va aggiunta la nostalgia dei Meazza, dei Rivera, dei Paolo Rossi, dei Baggio e dei Totti, affiancata a quella dei De Gasperi, Togliatti, Almirante, Pertini e Berlinguer. E anche li, teorie sul nostro decadentismo morale, politico e, quindi, calcistico.

In verità tutti dovremmo ricordare paio di cose: il nostro calcio sarà bistrattato quanto vogliamo, ma siamo pur sempre 4 volte Campioni del Mondo, di cui l’ultima soltanto un’edizione fa (quasi due ormai). Dovremmo ricordare che dopo Rivera, Meazza, Rossi, sono arrivati Baggio, Del Piero, Maldini, Baresi, Totti, Nesta, Cannavaro, Pirlo, ecc, e tanti altri né arriveranno perché siamo un  popolo che mangia calcio e pasta; che il calcio è calcio, la politica è politica, la società è società, e che, pur intersecandosi, queste realtà sono molto resistenti alle semplificazioni e alle ideologie impachettate al momento.

Infine, il calcio è bello per la sua indeterminatezza, per la sua imprevedibilità, per la capacità di sorprendere quando meno te lo aspetti, per darti la possibilità di rialzarti quando tutto sembra perduto: e proprio lì, in questo universo di speranze e passioni, oltreché di puro talento, noi riusciamo a tirare il meglio di noi stessi.

Per questo, e anche per tanti altri motivi, il nostro calcio non morirà mai.

Ci vediamo ogni Domenica nella rubrica di Madoniepress “E chi fa?”. Per precisazioni, commenti, spunti e altro, scrivere a gabrielescavuzzo@libero.it.

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