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Parco delle Madonie, è finito il tempo dei “pizzini”

Qualche anno fa, proprio in occasione del rinnovo dei componenti del comitato esecutivo del Parco delle Madonie, ho assistito ad una scena che mi è rimasta impressa nella mente.

Poco prima che cominciasse la seduta un uomo entra nella sala del Consiglio del Parco. E’ un uomo conosciuto e stimato nel territorio. Dopo aver salutato i sindaci ed essersi intrattenuto in disparte con alcuni di essi, si siede in uno dei pochi posti riservati al pubblico e caccia fuori dalla tasca un “pizzino”.

Ammetto di aver peccato d’eleganza! Quella curiosità insita nell’animo di ogni giornalista mi ha spinto a cacciare uno sguardo nel foglietto che, come era facile sospettare, conteneva 4 nomi.

La seduta del Consiglio durò pochissimo. Nel volgere di pochi minuti il nuovo Comitato Esecutivo era stato eletto, ricalcando esattamente il contenuto del “pizzino”.

Nessuno scandalo, ben inteso! Era il tempo della “pax madonita”. Il territorio aveva trovato un equilibrio politico che sembrava accontentare tutti, tanto quei pochi che “davano le carte” quanto i tanti che pazientemente si accodavano, aspettando il loro turno.

Nel tempo della “pax madonita” ogni nomina, ogni elezione negli organi di governo del territorio, Gal, SoSviMa, Parco delle Madonie, Ato Rifiuti, distretti e consorzi vari, era solo un momento formale. Era già stato tutto deciso, prima, a priori, fuori e lontano da quelle assemblee che, secondo le regole della democrazia, avrebbero dovuto scegliere di volta in volta presidenti, manager, consiglieri chiamati a governare il territorio.

Ed anche qui, a meno che non si voglia peccare di formalismo, non c’è poi tanto da scandalizzarsi. Vigeva di fatto un sistema democratico di “secondo livello”. Le scelte, tutte, erano affidate alla capacità strategica di alcuni (pochi, anzi pochissimi) grandi elettori. Un sistema, per così dire, all’americana.

Gli altri sindaci lo accettavano ed il territorio non mostrava segni di insofferenza, quindi si è andato avanti così, più o meno, per un paio di lustri.

Poi qualcosa è cominciato a cambiare, alcuni equilibri si sono rotti e, di fatto, dall’anno scorso la “pax madonita” è finita. Quanto accaduto in seno al distretto turistico è la cartina di tornasole di uno scacchiere politico che, dopo anni di immobilismo, è tornato a muoversi.

Prima spostamenti sporadici e, talvolta, isolati. Ora, complici le “sorprese” uscite fuori dall’ultima tornata elettorale, movimenti massicci e anche bene organizzati.

Tanto bene da mettere in discussione l’intero assetto politico – istituzionale delle Madonie.

Lo sapevano tutti, da tempo ormai, che certi “summit” non potevano più contare sull’unanime placet di quanti, negli anni trascorsi, si limitavano ad attendere dietro la porta.

Per questo quanto accaduto nelle scorse settimane, in occasione del rinnovo del Comitato Esecutivo del Parco, è stato solo il prodotto della pervicace volontà di voler trainare ancora avanti un treno ormai deragliato.

Quale senso avrebbe mai avuto rinviare ancora una volta la nomina del organo di governo dell’Ente Parco delle Madonie, dopo che già la prima proroga era stata approvata nei mesi scorsi, in vista della tornata elettorale di questa primavera. Si era detto, giustamente, attendiamo i nuovi sindaci. Ed ora che i nuovi sindaci sono stati eletti, già da tempo, perché rinviare ancora? Chi o cosa bisognerebbe aspettare?

Ed ancora, che senso ha dubitare sull’opportunità di una convocazione del Consiglio del Parco se di fatto alla seduta erano presenti 14 dei 15 sindaci convocati?

Ed infine, quale esempio si dà al territorio ed alle nuove generazioni se, dopo aver chiesto il rinvio della seduta, un nutrito gruppo di sindaci si alza e se ne va, facendo saltare il numero legale, perché la maggioranza dei colleghi ha deciso diversamente? Altro che fair play, altro che senso di responsabilità! E pensare che all’ordine del giorno, oltre all’elezione dei componenti del Comitato c’era anche l’approvazione delle misure di urgenza sull’emergenza cinghiali, da trasmettere all’assessorato. Non c’è che dire, una brutta pagina.

Per usare un paragone calcistico è come se la Juve, abituata a vincere da due anni di fila nel suo stadio, preso il gol alla prima di campionato contro l’Udinese, avesse abbandonato il campo lamentandosi “noi siamo più forti, noi non possiamo perdere!”

Ancora non possiamo sapere se i movimenti in corso rappresenteranno un passo avanti o un passo indietro per il territorio. Su questo, non avendo pregiudizi nei confronti di nessuno, ci esprimeremo solo a posteriori, giudicando i fatti.

Intanto è bene prendere atto della loro legittima esistenza che, di certo, produrrà altri legittimi movimenti e spostamenti. Azione e reazione. Uno specchio d’acqua che stava diventando palude e che ora, finalmente, torna a muoversi.

 

 

 

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