Spesso basta poco per riempire l’album dei ricordi: una torta, una passeggiata, un bacio. Alcune volte però fa capolino l’esigenza di segnare il tempo. Ecco allora che occorre qualcosa fuori dall’ordinario, dal proprio piccolo, quotidiano ordinario. E bastano, come in questo caso, l’amicizia e una bicicletta. Sei in realtà: quelle di Vincenzo Asciutto, di Vincenzo Catalano, di Vincenzo Restivo, dei fratelli Vincenzo e Rosario Rotondi, di Giuseppe Zuccaro. Sei ragazzi, tutti di Collesano che, sbarcati in Francia, hanno preso a macinare chilometri dritti dritti fino a Santiago de Compostela.
Sono trascorsi quasi due mesi dall’“impresa” ed è tempo di raccontare. Prima la famiglia, priorità e “centro di recupero” d’affetti. «Scusa il ritardo – nel girare alcune risposte, n.d.r. – ma capisci, dovevamo recuperare un po’ di tempo con la famiglia…» precisa Vincenzo Rotondi.«Il peso più grosso da sopportare è stato la lontananza da Michela ed Esther che sono sempre molto comprensive e senza il loro appoggio non avrei mai potuto affrontare quest’impresa» continua Rotondi, che è lapidario nel ricordare il segno che questo cammino gli ha lasciato: «Percorrerlo mi ha trasmesso tanta serenità e leggerezza della vita, l’importanza delle cose essenziali». Perché si sa, pedalare aiuta a riflettere. E dopo circa tre anni di bici, «non avrei mai pensato che questo sport si sarebbe trasformato in una vera passione da condividere con dei buoni amici».
Un viaggio 2.0, iniziato sul versante francese da Saint Jean Pied de Port in direzione est-ovest, attraverso la Navarra, la Rioja, la Castiglia e León, la Galizia. Un viaggio condiviso ogni giorni sui social network e che tanto tifo, da quaggiù, dalla loro comunità, ha raggranellato. Un po’ come i campioni locali che passano sfrecciando tra i compaesani che schiamazzano e incoraggiano. E anche attraverso il web vale lo stesso.
L’incubatrice di questa passione è l’associazione locale “Madonie Bike”, un sodalizio che da anni aumenta progressivamente i propri iscritti. Dentro ci stanno anche padri e figli, perché lo sport è più bello se è affare di famiglia.
«Settimanalmente ci alleniamo affrontando gl’innumerevoli sentieri che le Madonie ci offrono e qualche volta andiamo in trasferta – sottolinea Vincenzo – e la mia prima impresa, tale fu considerando che avevo meno di 3 mesi di sella, fu salire sui crateri sommitali dell’Etna. Ma ovviamente niente a che vedere con Santiago… che penso per tutti e sei sia stato al primo posto a livello emozionale ed economico». Ed è così, pur ricordando i due giri di Sicilia, l’Etna appunto e Roma.
La mente di tutto è stata il “prof”. In un gruppo occorre sempre un appellativo per parlare poco e pedalare tanto. Il “prof” è Vincenzo Restivo che già nella precedente impresa, quando portò con sé alcuni fino a Roma, aveva ideato “Santiago”.
«Il 19 luglio 2012 – ricorda Restivo – il sottoscritto, Angelo Indulsi, Giuseppe Zuccaro e Massimo Cirrito eravamo a Roma, sfiniti ma soddisfatti di aver realizzato un’altra delle nostre imprese “Collesano-Roma in bici, 859 km in 6 giorni”». Una soddisfazione la sua, che recita a soggetto ancora a distanza di tempo. «Cercavamo un ufficio di spedizioni per far ritornare le nostre bici a Collesano. Ce n’era uno in una traversina vicino al b&b dove avevamo pernottato e una volta dentro, mentre imballava, l’impiegato, meravigliato della nostra impresa, ci raccontò la sua: era ritornato dall’esperienza di un pellegrinaggio durato circa un mese, a piedi, invitandoci a fare anche noi questa esperienza. E per la prima volta sentivo parlare de “Il Camino de Santiago”».
Restivo è un veterano. La sua prima bici da corsa risale all’85 scambiata per una mountain bike nel 2003 e «da quel momento ho iniziato ad allenarmi e ad apprezzare i sentieri e le montagne che ci avvolgono, posti che vediamo tutti i giorni alzando la testa, ma che puoi apprezzare solo quando ti ci trovi dentro». E questa è una sensazione comune ai sei, come ricorda Vincenzo Asciutto, in bici da 15 anni. «Allora un caro amico m’invitò a uscire percorrendo i sentieri delle nostre Madonie. E mi innamorai della mountain bike e dei meravigliosi posti che riescono a farmi sentire bene con la mente e con lo spirito». Quasi una terapia zen a sentire il gruppo.
Perché proprio Santiago? La domanda di rito illumina gli occhi di chi deve raccontare qualcosa di speciale. «Ogni due anni proviamo a superare i nostri limiti – risponde Restivo – e nello stesso tempo andiamo a scoprire dei posti nuovi grazie a questa passione per le due ruote. L’incontro fortunoso con quell’impiegato che ci coinvolse con il racconto del suo camino, ci parlò di tutta questa gente, di questi posti meravigliosi e di questi sentieri e strade di campagna, dei pellegrini… ci spinse a documentarci e a studiare quella che sarebbe stata la nostra prossima impresa». Già, un’impresa che, in tempi di cronica sedentarietà, appare davvero titanica.
«Santiago – gli fa eco Vincenzo Catalano, in sella da circa due anni e vicepresidente della A.S.D. Fiamma di Palermo – perché è uno dei cammini maggiormente percorsi annualmente dai pellegrini. In Europa è quello di cui tutti noi almeno una volta abbiamo sentito parlare. E ora, terminato tutto, posso dire che il cammino non è il mostro da sconfiggere o la montagna da superare ma ti apre lo specchio dell’anima, ti fa fare un percorso interiore di cui mi sono reso conto durante lo stesso. Ragazzi, la sensazione che provo dentro non riesco a manifestarla attraverso le parole…». E la metafora la forgia Rosario Rotondi: «Abbiamo scelto non Santiago ma “il Cammino”, perché proprio la vita, breve o duratura che sia, è un cammino che giorno dopo giorno, tappa dopo tappa, riempiendo l’esistenza di gioie e dolori, comunque esperienze, ci porterà a “Santiago” alla fine dei giorni terreni. O forse Santiago sarà l’inizio di un nuovo cammino?»
Sono tutti concordi nell’affermare che niente vi sia di più gradevole che unire in un unico viaggio più passioni: pedalare e visitare posti nuovi. E la sensazione comune è stata la “libertà”, quella sfumatura dell’essere che non sai spiegare ma che percepisci solo quando ti attraversa. E ci scherzano su: «Eravamo come i cavalieri-pellegrini che percorrevano quelle strade con i loro cavalli» sorride Catalano. Ad ognuno la sua saga, tra Roncisvalle, Pamplona e i Templari.
E aggiunge: «Anche se io soffrivo in silenzio per un problema alla gamba, i miei compagni si sono resi conto della mia difficoltà e qualcuno ogni tanto mi spingeva per alleviare il mio dolore. Cosa dire: sono questi i piccoli gesti che ti fanno andare avanti fino in fondo. Per questo ho scelto questi compagni di viaggio».
Tasselli: ad Alto del Perdon il monumento del pellegrino reca la scritta “dove si incrocia il cammino del vento con quello delle stelle”. Immagine da arena cinematografica e profonda come il respiro a certe altezze. La Cruz de Hierro, la Croce di Ferro, nei Montes de Leon a circa 250 km da Santiago, dove i pellegrini portano una pietra di dimensioni proporzionate ai peccati di cui ci si vuole liberare. E poi il vino «alla fontana del monastero Irache – ricordano – e l’invito a berne con moderazione» che sa di consigli da buona tavola; «la salita “matamulos”, ammazzamuli – continuano – subito dopo Castrojeriza, è un gran bel dire, sebbene la più dura sia stata Ruitelán» e Santiago, con la Cattedrale, la messa del pellegrino celebrata da tutti i sacerdoti presenti, «tra cui due italiani, uno dei quali di Mondello…» ricorda Catalano, il “botafumeiro”, le viuzze e i bazar.
Un viaggio, con un costo complessivo di circa mille e duecento euro, iniziato il 20 luglio e concluso, tra partenze e arrivi, il 4 agosto, con in mezzo i 9 giorni di cammino, dal 23 al 31 luglio, «quando Zuccaro ha compiuto gli anni» ci tengono a precisare e quando il gruppo ha ricevuto la Compostela, il documento ufficiale che certifica l’effettivo svolgimento del cammino, rilasciato solo dopo aver esibito la “credencial” consegnata all’inizio del cammino e sulla quale si appongono i timbri raccolti al passaggio «negli albergue – ricorda soddisfatto il gruppo – oppure negli uffici turistici o, ancora, nelle chiese». E Zuccaro, per il quale la bici «è passata da un gioco ad uno stile di vita, praticamente senza soluzione di continuità»,ricorda ancora quel giorno: «Si riparte con tanta, ma tanta nebbia fitta, ma è una bellissima giornata: è il giorno del mio compleanno. La prima canzoncina è dei miei amici-compagni. Facciamo tanti chilometri sotto i boschi e tra i campi di mais. In uno di questi sentieri, tra gli alberi arriva la seconda canzoncina, “cumpleanosfeliz”, direttamente da una carinissima famigliola spagnola in pellegrinaggio».
825 km il totale percorso in 56 ore e 40 minuti, grazie anche al supporto economico della Madoniebike e dell’Avis locale.
Hanno pure sbagliato ad un certo punto, allungando il percorso di ben 20 chilometri bontà loro… Dimenticando di saldare il conto all’ottavo giorno, nell’alberghetto di Villafranca, salvo a ritrovarsi pochi chilometri più avanti una furiosa proprietaria. Un disguido che stava per costare ore al posto di polizia.
«Salite molto dure e discese molto tecniche – suggerisce Restivo, cui fa eco Zuccaro – hanno messo a dura prova la nostra preparazione e le nostre bici». Questi i momenti più difficili «dove sei solo a soffrire – continua Restivo – e non hai la forza di parlare; allora il pensiero va a quelle che sono le certezze della nostra vita, alle scelte fatte e da fare, ai momenti difficili e a quelli più belli, e ti ritrovi da solo… Il cammino serve anche a questo, a ritrovare te stesso».
Un viaggio interiore, insomma, tra paesaggi acquerellati, ambientazioni alpine, escursioni termiche da urlo, campi di grano e di girasole, tra asfalto e strade sterrate, con la macchia mediterranea nell’ultimo tratto con le sue temperature più gradevoli. Segni particolari del tragitto: tanti corsi d’acqua e ponti a cavalcioni, «di origine romana e ben tenuti, che immettono o fanno uscire dai centri urbani, arredati da splendidi parchi verdi in cui la gente trascorre momenti di svago e sport» ci tiene a sottolineare Rosario Rotondi. Un percorso di recupero attento e faticoso, «nel corso del quale – continua – è stato emozionante vedere coppie camminare mano nella mano, bambini portati dai propri genitori, persone portare il peso dei bagagli del compagno di viaggio diversamente abile, il massaggio fatto da una donna ai piedi sanguinanti di uno sconosciuto pellegrino, l’aver mangiato una lasagna squisitissima rivisitata in chiave spagnola fatta da un cuoco ex pellegrino coreano presso “l’albergue municipal” del piccolo centro di Belorado, l’abbraccio rilassato, all’arrivo di fronte la cattedrale di Santiago, con i miei compagni di viaggio».
«Storie da raccontare? – ricorda Asciutto che ha segnato un più senza eguali al termine di ogni tappa quando tutti si ritrovavano seduti insieme la sera – Tutto il viaggio è una storia formata da tanti aneddoti: non basterebbe un intero giorno per descriverli». Eppure anche in questo caso il gruppo rimane unito: Raffael Casas, sessantacinquenne, malato di cancro e guarito dopo il viaggio verso Santiago. Adesso dedica il suo tempo ad assistere i ciclisti in transito da Logroño, sua città di residenza, a Nájera. «Quest’uomo ci ha accompagnati per circa 50 km – precisa Catalano – per poi fermarci insieme a pranzare. Un uomo particolarmente solare – continua – che nonostante le difficoltà vissute, aveva una gioia interna tale da trasmettere tanta serenità. Ci ha accompagnati in città. Ricordo l’emozione che ho provato durante il saluto: il suo abbraccio era veramente sincero e ci siamo stretti come vecchi amici».
“Ola, buen camino” il motto dell’intero viaggio che ogni pellegrino rivolgeva loro, tra il giallo delle frecce come simbolo del cammino e le conchiglie, simbolo del pellegrino.
Terminiamo la conversazione con un’ultima domanda sul prossimo obiettivo. Alcuni non si sbottonano, altri pensano alla Tour Eiffel, ma quel che è certo è che sarà una scelta unanime. E unanime è l’unica vera paura: «Non ditelo alle nostri mogli!»
Antonino Cicero