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Chiodo su chiodo. L’ossessione artistica di Enzo Rinaldi

La personale di Enzo Rinaldi è allestita presso la Bobez Arte (Associazione Culturale) di via Isidoro La Lumia 22 a Palermo. Scendiamo le scale che portano in un seminterrato e una volta entrati un forte odore di vernice, colore a tempera, colla vinilica e resina ci investe. L’intensità acrilica inizialmente stordisce, ma il vocìo di bambini ( tanti ) proveniente da una stanza adiacente allo spazio allestito a mostra, rinsavisce dallo smarrimento iniziale.

“Chiodo su chiodo” cita una poesia inchiodata al muro. La percezione è quella di qualcosa di forte, rumore sordo di metallo, l’acuminato dolore, un’inquietudine che trafigge – giacché è chiodo appunto – al primo sguardo, al primo respiro e tale è l’immagine provocata dalle opere esposte. Dopo un primo vagare tra le opere ci imbattiamo in una stanza dove si svolge un laboratorio di pittura per bambini, dei quali, prima, avevamo avvertito la presenza: voci, risate, colori, disegni e quadri dappertutto ci strappano un sorriso inaspettato e anche una punta di buon umore di cui non avevamo voglia prima, in completa dissonanza certo, ma tant’è.

Il chiodo fisso però richiama la nostra attenzione verso la mostra. Fortuna vuole che, ritornando all’allestimento, incontriamo l’artista, che non vuole essere chiamato artista – sottolinea non appena ci si presenta – e che ci invita a dargli del tu al primo scambio di battute informali. Ci avviamo così a fare un giro in compagnia dell’autore delle opere.

Enzo Rinaldi è originario di Petralia Soprana, sulle Madonie. Alla nostra domanda sul come nasce la sua produzione, il Rinaldi ci racconta come la pulsione emotiva, che lo ha portato ad esprimersi con l’arte, stia tutta nella rabbia, nell’ossessione che lo ha tormentato per anni, troppi. Il chiodo fisso che trafigge e ossessiona la mente, lacera e monta su rabbia provocando un forte dissenso verso il mondo, verso tutti. Perdiamo l’attimo e uno dei bambini, assieme ad un paio di promettenti curiosi pittori, chiede interrompendo il nostro discorso da basso: “Perché usi i chiodi?” – “Perché una volta un mio operaio in falegnameria comprò uno scatolo di chiodi che non servivano, non sapendo cosa farne li ho usati così!” risponde Rinaldi chinandosi verso il piccolo (ennesimo sorriso rubato).

Continua a ripeterci di non essere pienamente consapevole di essere o meno un vero artista, se lo chiede ogni mattina davanti lo specchio: “Ma io sono un artista?!” auspicando che un giorno se ne convincerà e finalmente la domanda diventi una decisa affermazione: “Ma io sono un artista!”.

Di sicuro, spiega, sono tanti coloro che credono di esserlo, si spacciano come artisti, o presunti tali, solo per apparire e credere di essere qualcuno, senza in realtà creare nulla che abbia un valore in quel senso.

Enzo Rinaldi è il tipo di uomo solitario, un po’ per scelta, un po’ perché così va a chi nasce con quella cosa lì, l’inquietudine dentro. L’ossessione per un amore mai avuto, un amore non ricambiato, quel tarlo “ …dagli occhi di ghiaccio per un istante di amore estremo ” che lo accompagna negli anni, la delusione e l’inganno si scalfisce nella sua mente per sempre e come martello batte sulla testa di un chiodo scandendo incessantemente l’abisso, si insinua trafiggendolo senza tregua. La molla in questo caso è lo stesso “chiodo” che diventa arte, si assembla con la resina, ed è spinta motivazionale, canale di sfogo per la rabbia che si trasforma in produzione artistica, fattore scatenante di un inizio che è forse la fine, l’uscita dal buio.

La gestualità della comunicazione non verbale di Enzo Rinaldi è eloquente da sé, il viso segnato da questo passato inquieto, ingiusto, sicuramente difficile, ma giunge il momento del riscatto quando un amico lo spinge a tirare fuori di casa e portare alla luce del sole, al pubblico, le sue opere. Anche la curatrice della mostra alla Bobez, racconta Enzo, lo ha incoraggiato affinché realizzasse la sua personale lì e ne ha acquistato anche un pezzo in occasione di una visita a casa dello stesso. Perplesso ci dice: “a quanto pare sono piaciute!”.

Il suo è l’urlo di chi è stato per troppo tempo in silenzio, ad inchiodare l’indifferenza che lo ha circondato da sempre, ma allo stesso tempo rifugge dalle attenzioni, una volta attratte. Come ci dice: “Io per l’inaugurazione sparisco, preferisco andarmi a sbronzare in una qualche taverna fuori, non la sopporto l’attenzione concentrata tutta su di me ”. Il suo approccio all’arte, con uno stile tutto personale, inizia con dei bassi rilievi che rappresentano alcune scene di vita vissuta, tra questi uno è Insonnia: qui, ci racconta, viene rappresenta una scena di una sera passata in un bar di una frazione vicina al paese natìo, della quale dice di essere stato protagonista, un capannello di gente da un lato, bottiglie abbandonate a terra e un uomo che si allontana, da solo. I chiodi uniti insieme alla resina, materiali di scarto del suo studio/falegnameria e cemento con la manualità raffinata, seppur d’artigiano, dell’artista danno vita a figure notevoli per effetto, dalla potente comunicabilità sofferente della fatica che viene rappresentata: l’uomo con un carico sulla schiena ai bordi di un precipizio di cui non si coglie, volutamente, quale sia l’intento se buttare giù il suo carico di sofferenza di ogni tipo o continuare a portaselo addosso. Andiamo avanti, La metà di un terzo, d’anticipo  la domanda ce la pone Rinaldi: “ Cosa vedete? Non è una formula matematica o un algoritmo ” ci suggerisce sotto un velato ghigno. “Beh, qui viene rappresentata una panchina con tre persone, una coppia di innamorati e un altro più in là, di un amore non ricambiato forse ”. Ci sorride. Andando ancora avanti la mostra  si arricchisce con un gioco di luci e ombre che affascina, le strane forme prendono “ vita ” e dinamismo nelle ombre riflesse al muro, fra tutte Amanti e La metamorfosi dell’ossessione, l’ingegnoso gioco di luci dona sinuosità e anima alla creazione, l’ossessione adesso ha anche un volto nel tortuoso labirinto della mente, ed è ancora viva. L’Autoritratto, infine, è la piena rappresentazione di continua lotta dell’artista con sé stesso, due uomini combattono fra loro in un’ostinata lotta di sangue interna a chi è il più forte, a chi reggerà.

L’estro di Rinaldi nasce tra i monti madoniti, in antitesi alla sua personale introspezione, conflitto interiore e ricerca di isolamento, esce allo scoperto con la spinta ineluttabile  di una profondità personale nel giungere all’essenza delle cose, di dare forma e corpo all’inquietudine, al continuo ripetersi “chiodo su chiodo” di quel pensiero ossessivo che non dà tregua, ma deve essere sconfitto. È il vuoto che deve essere colmato buttando fuori la rabbia, dando forma con arte bruta, dura, ma allo stesso tempo vera, reale ed immediata.

Il chiodo che trafigge e lascia il segno indelebile, stimmate di un Cristo in croce.

La mostra si protrarrà fino al 22 aprile ’14, sempre alla Bobez Arte a Palermo visitabile al mattino dalle 10:00 alle 12:30 e al pomeriggio dalle 16:30 alle 19:30.  A chiusura ci lasciamo scappare la notizia che un eventuale allestimento della stessa potrebbe essere realizzato a Gangi, dichiarandosi il Rinaldi interessato agli spazi del Carcere Borbonico da poco ristrutturati, forte di un invito informale da parte dell’amministrazione comunale nella persona del sindaco, datogli in una precedente occasione.

“Ho venduto la mia anima

A briganti

dai denti d’oro

perché potesse non sentire più

le spine di questo talamo.

Ho venduto il mio sorriso

a una strega

dagli occhi di ghiaccio

per un istante d’amore estremo.

Ho venduto i miei occhi dolenti

a un untore di sogni

perché mai più vedessero il tuo errore.

Ho reciso le mie mani

e irrorato col mio sangue

la terra

per non sfiorarti

Mai più.” 

(Daniela Li Puma)

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