Aumento del canone, a rischio chiusura le fabbriche che imbottigliano acqua minerale

Redazione

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Aumento del canone, a rischio chiusura le fabbriche che imbottigliano acqua minerale
Le aziende hanno chiuso con oltre 1,4 milioni di euro di perdite: rischiano il posto 800 siciliani

18 Gennaio 2016 - 00:00

Sono a rischio chiusura le aziende siciliane che producono acqua minerale e che, tra diretto e indotto, oggi danno lavoro a circa 800 dipendenti. A mettere in allarme le imprese, l’aumento dei due canoni, ossia quello sulla superficie di concessione e quello sull’acqua emunta, stabilito dall’art. 14 della legge di stabilità 2013, approvata dall’Assemblea regionale siciliana, lo scorso maggio. Di questo si è discusso, presso la sede di Confindustria Sicilia, in un incontro tra i segretari regionali di Cgil, Ferruccio Donato, Cisl, Giorgio Tessitore, e Uil, Giovanni Sardo, Paola Parziale, direttore di Mineracqua, l’associazione di categoria che in Confindustria rappresenta le aziende che imbottigliano acqua minerale, e Giovanni Catalano, direttore di Confindustria Sicilia.

“Un aumento dei canoni nella misura prospettata per un prodotto “povero” a basso valore aggiunto come l’acqua minerale – spiegano le imprese – non è sostenibile”. I nuovi canoni in alcuni casi sarebbero infatti di circa 10 volte superiori: un’azienda siciliana di medie dimensioni passerebbe da 40 a 600 mila euro di canone sull’acqua emunta e da cinquemila a 50 mila euro per il canone sulla superficie. “Se si considera – aggiungono le aziende – che il margine medio del settore a livello nazionale è di 0,58% ante imposte e che in Sicilia si è già tradotto in perdite di bilancio, diventa chiaro che un aumento non è sostenibile”.

“La Sicilia – commenta Tessitore – non può permettersi una così pesante ricaduta occupazionale. Va alzato un argine per restituire competitività alle aziende e certezze ai lavoratori del settore”.

Il fatturato delle aziende siciliane che imbottigliano acqua minerale è di circa 69 milioni e nel 2011 il dato aggregato dei bilanci ha fatto rilevare una perdita di quasi 1,4 milioni di euro. L’impatto dell’aumento del canone graverebbe per un altri 1,3 milioni di euro, con conseguente perdita di fatturato rispetto alle aziende concorrenti che commercializzano acqua minerale non emunta in Sicilia, ma che pagano ad esempio nelle regioni limitrofe canoni più bassi, come in Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. “La conseguenza più evidente – ribadisce Mineracqua – sarà che le acque imbottigliate siciliane, una risorsa del territorio, valorizzate dalle imprese e apprezzate dai consumatori, saranno sostituite da quelle proveniente da altre regioni”.

Peraltro l’aumento del canone, paradossalmente, con la diminuzione del fatturato delle aziende e la riduzione del personale, farà diminuire il gettito fiscale dell’Irpef dei dipendenti, dell’Irap e dell’Iva.

“La rivisitazione del canone – ribadisce Donato – non può non tenere conto del mercato nazionale. È opportuno che il tema venga affrontato in maniera organica, partendo dalla rivisitazione della legge del 1956”. “Sarebbe paradossale – sottolinea Sardo – fare chiudere le aziende e perdere posti di lavoro. Le casse della Regione non ne trarrebbero di certo alcun beneficio, ma anzi si dovrebbero sprecare risorse per gli ammortizzatori in deroga”.

Le organizzazioni sindacali avvieranno pertanto un confronto con i lavoratori e con il governo affinché la corsa all’incremento dei canoni non pregiudichi lo sviluppo della Sicilia e dei livelli occupazionali. Contemporaneamente, Confindustria Sicilia e Mineracqua chiederanno un incontro al governo per informarlo degli effetti negativi del provvedimento e chiedere l’abrogazione dell’art. 14.

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